AUTORITRATTO -performance-
L’operazione dell’Autoritratto è la facoltà di parlare di sé, di spostare il baricentro del discorso dallo spettacolo all'identità, benché in questo lavoro non intendo proporre un mio comportamento feticista in scena. In realtà, vorrei cimentarmi in una coreografia composta di citazioni, di frammenti che mi hanno segnato e influenzato. In una ricerca del concetto d’identità che qui ne diventa il tema. Come interprete il meccanismo più significativo che mi sono trovato a mettere in atto è la rappresentazione del corpo danzante come utensile, simulando un’immagine confacente al desiderio di un’estetica altrui. Una sorta di “sé simulato”. Un travestimento che il teatro richiede dove la rappresentazione del corpo non ha, né una funzione liberatoria, né quella di legittimare un’identità. Una sorta di riflessione su quello che è lo scarto esistente tra l’immagine del corpo pensata e quella del corpo reale.

Regia e coreografie: Fabio BERGAMASCHI
Costumi: Fabio BERGAMASCHI
Musiche: Fennesz, Murcof, John Le Mur. 
Timing: 30 Min




NOTE DEL COREOGRAFO:
La mia personale esperienza come danzatore è stata segnata dall'incontro vivificante con l’improvvisazione, pratica che si è rivelata centrale nel processo di rielaborazione delle varie tecniche classiche e contemporanee che mi sono trovato a studiare e ad approfondire nel mio percorso nel campo della danza.

In un primo momento ho potuto incontrare i principi del lavoro sull'aleatorio è stato con Merce Cunningham et la sua tecnica. Inspirante, nelle sue ricerche sulle “Chance Operations” e sorprendente nel suo forte interesse ad un completo parallelismo tra danza e musica, lasciando al caso, all'imprevisto, l’incontro delle due discipline artistiche.

Accanto alla disciplina di Cunningham, il Tanz-theatre è stato anch'esso molto presente nella mia formazione dello sguardo sulla danza. Pina Bausch e la libertà interpretativa, la spontaneità e l’espressività delle sue coreografie, nonché dei suoi interpreti, mi parlavano di accessibilità, presenza, rischio, intraprendenza e senso del gioco.

In seguito ho potuto incontrare un altro motore della mia ricerca sull'improvvisazione e la composizione istantanea con l’incontro di due discipline Post-modern: la contact improvisation e la Release Technique, con di Steve Paxton e Trisha Brown.

Ho potuto cosi approfondire il metodo improvvisativo in ciò che sono state chiamate “coreografie indeterminate” o “coreografie aperte” (opposte alle coreografie tradizionali, “chiuse”), ma anche “situation-response composition” o “composizioni in situ”. La danza sperimentata in questo periodo mette in scena un corpo idealizzato come rilassato, un modo di muoversi e di comporre basato sulla dialettica fra totale indeterminazione e improvvisazione guidata. Con la Contact Improvisation di Paxton ho trovato in più un sistema di ricerca sul movimento dalle forti implicazioni sociali e terapeutiche, basato soprattutto sul contatto con un altro corpo e quindi su una forma di comunicazione fisica e percettiva.

Tutto si è riportato nel lavoro della compagnia Alias/G. Botelho di cui ho fatto parte per quindici anni. Il lavoro della compagnia si è sempre basato su una forte ricerca improvvisativa, come strumento di sperimentazione, ai fini della successiva costruzione coreografica.

 Oggi i coreografi di cui sono interessato per quanto riguarda il loro lavoro sono molti ma in particolare due risultano a me parlanti e vicini a ciò che mi interessa approfondire: Jan Fabre e Boris Charmatz.

 Il modo d’espressione di Jan Fabre mi trasporta. In sé c’è una grande diversità di approccio all'arte teatrale e s’iscrive in un mondo che gli appartiene totalmente e popolato di corpi che evolvono in un perfetto equilibro di contrasti, in modo da poter definire l'esistenza naturale. Ciò che apprezzo in lui è il concetto di metamorfosi, chiave nel pensiero di Fabre, dove il mondo animale è costantemente in interazione col genere umano.

Su di un altro piano, sono molto affascinato dalla ricerca di Boris Charmatz. Il suo senso devastante della derisione e dell'autoironia, un'indisciplinatezza salutare e una claustrofobia congenita che manda tutto lontano dai luoghi comuni della loro arte, sono i suoi ingredienti che preferisco. La sua presa di rischio massimo ed equilibrismo senza rete, parla di una ricerca che vuole mettere in campo l’improvvisazione, in uno stato completamente liberato. Trovo la sua ricerca di una molta attualità.

 

 

                                                                                                       Fabio BERGAMASCHI